Platone
Platone
Platone tra biografia storia e pensiero
Platone nasce ad Atene nel 427/8 a.C.; si chiamava in realtà Aristocle, Platone (=ampio, largo) era un soprannome che forse si riferiva alla corporatura di Platone, oppure alla sua fronte, oppure al suo pensiero e alla sua opera.
Platone è aristocratico, discendente di una delle famiglie più illustri di Atene, aspira alla vita politica e diviene discepolo di Socrate, nel 404 collabora con il governo dei Trenta Tiranni, ma le violenze e le ingiustizie perpetrate dai Trenta lo allontanano dall’impegno politico diretto.
399: Condanna a morte di Socrate (Platone ha 29 anni), per Platone è un’esperienza traumatica: si convince che anche la democrazia non assicura la giustizia.
Ha grande interesse per la politica, ma sfiducia nella democrazia, da ciò la ricerca di nuove vie, di nuove basi per una politica giusta.
Dopo la morte di Socrate fa viaggi a Megara, a Cirene, in Egitto, poi a Taranto, governata dal pitagorico Archita (l’influenza dei Pitagorici è fondamentale), a Siracusa, governata dal tiranno Dionigi il Vecchio (scopo: fare del tiranno un politico-filosofo), qui Platone diventa amico di Dione, cognato di Dionigi. Ma Dionigi scaccia e fa vendere come schiavo Platone.
387: Liberato, Platone torna ad Atene e fonda l’Accademia (scuola e comunità; vi si impartisce un insegnamento politico e morale, ma anche scientifico; lo scopo è formare i filosofi-politici del futuro).
367: Dionigi il Giovane chiama a Siracusa Platone (secondo viaggio); contrasti tra Dionigi e Dione: Platone torna ad Atene.
361: nuovo invito, terzo viaggio a Siracusa presso Dionigi e nuovo fallimento. Muore ad Atene a 80 anni nel 348/347 a.C.
Platone le opere:
Platone ha scritto 13 lettere – l’Apologia di Socrate – 34 dialoghi. Tutte le opere scritte da Platone ci sono pervenute, e ciò attesta che nell’Antichità e nel Medioevo sono state sempre ritenute importanti e “degne” di essere copiate. Oggi però alcune lettere e alcuni dialoghi minori non vengono ritenuti autentici.
Ogni dialogo è dedicato a un tema particolare (l’anima, l’amore, la politica, la retorica, le leggi, la cosmologia ecc.), la finalità etico-politica (rigenerare le poleis greche) è alla base di tutti i dialoghi; la teoria delle Idee, fondamentale teoria platonica, attraversa tutti i dialoghi.
Nell’antichità le opere di Platone vennero divise in 9 tetralogie (gruppi di 4) sulla base del loro contenuto tematico.
Oggi si preferisce distinguere le opere in 3 gruppi corrispondenti a tre fasi della vita e del pensiero di Platone.
Scritti giovanili socratici = Platone espone (probabilmente) i dialoghi realmente avvenuti tra Socrate e i suoi concittadini, presenta discussioni vive, animate: tra questi i più notevoli sono Apologia di Socrate, Critone, Eutifrone, Protagora, Alcibiade.
Dialoghi della maturità = espongono, attraverso dialoghi immaginari di cui Socrate è ancora il protagonista, il pensiero di Platone – il dialogo assume un carattere più riflessivo: sono Gorgia, Menone, Fedone, Repubblica, Simposio, Fedro.
Dialoghi della vecchiaia o “dialettici” = Platone rivede, completa o corregge le teorie esposte nei dialoghi della della maturità; Socrate è meno presente: tra questi segnaliamo Teeteto, Parmenide, Sofista, Timeo, Politico, Leggi.
Platone e il dialogo:
Platone afferma nel “Fedro” la superiorità dell’insegnamento orale e della parola viva sulla parola scritta: infatti la parola scritta definisce, conclude, fissa i risultati, invece la filosofia è ricerca senza fine; in secondo luogo la parola scritta è impersonale, non si adatta all’interlocutore, non tiene conto della sua capacità di comprendere, delle sue obiezioni.
Nonostante affermi la superiorità del dialogo vivo sugli scritti, Platone, a differenza di Socrate, scrive: evidentemente non intende rinunciare alla possibilità di trasmettere il suo pensiero a una cerchia più vasta di ascoltatori e ai posteri, ma cerca comunque di mantenere nel testo scritto il carattere aperto e dialogico del filosofare socratico: è per questo che sceglie il dialogo.
Ma esistono anche dottrine non scritte di Platone: sul contenuto e sull’importanza di queste dottrine gli studiosi hanno idee discordi; sembra comunque probabile che tali dottrine non contraddicano e non aggiungano molto alle teorie di Platone esposte nei dialoghi: pertanto non le prendiamo in considerazione.
6. RAPPORTO TRA IL MONDO DELLE IDEE E IL MONDO MATERIALE:
le cose sensibili derivano e dipendono dalle Idee; quindi le Idee sono fondamento e causa delle cose sensibili: le Idee sono i principi
- gnoseologici (di conoscenza),
- assiologici (di valore),
- ontologici (di esistenza) della realtà materiale.
Quindi la conoscenza delle Idee permette di conoscere e valutare la realtà terrena, di orientare l’azione nella realtà terrena (per esempio la conoscenza dell’idea di giustizia permette di capire quali azioni sono giuste e quali no) Platone non spiega esattamente come si stabilisce questo rapporto tra le idee, ipotizza un rapporto di Imitazione (mìmesis) e di Partecipazione (mèthexis).
Una spiegazione mitica, verosimile, della dipendenza delle cose dalle idee è fornita dal Timeo, di cui parleremo oltre, perché è uno degli ultimi dialoghi scritti da Platone.
Platone e l'immortalità:
L’uomo è costituito da anima e corpo. La distinzione tra anima e corpo era ovvia, per la mentalità dei Greci.
Ma Platone accoglie da Socrate il principio per cui l’anima, intesa come ragione e coscienza, è la vera essenza dell’uomo.
Per Platone esiste un’analogia tra il dualismo Idee/cose sensibili e il dualismo anima-corpo (come la realtà è costituita da Idee immateriali e cose materiali, così l’uomo è costituito da un’anima immateriale e da un corpo materiale).
Tuttavia il rapporto anima-corpo non riproduce esattamente il rapporto Idee-cose; infatti mentre tra le Idee e le cose sensibili esiste un rapporto di imitazione e partecipazione, tra l’anima e il corpo esiste un rapporto di opposizione (ciò dipende dall’influenza orfico-pitagorica: la dottrina orfica considera il corpo come carcere e tomba dell’anima.
Platone aveva conosciuto la dottrina orfica quando aveva visitato la comunità pitagorica in Italia meridionale).
Platone comunque giustifica la “condanna” del corpo anche con un argomento più filosofico: il corpo è mosso da bisogni e impulsi sensibili, e quindi impedisce all’anima di dedicarsi totalmente alla ricerca della verità, la quale, come abbiamo visto, è costituita da idee immateriali; perciò il corpo è una tomba per l’anima.
Nel Dialogo “Fedone” Socrate in prigione, nelle ultime ore di vita, dialoga con i suoi discepoli sul destino dell’anima e sulla morte e dà quest’insegnamento: l’anima per conoscere le idee intelligibili deve sottrarsi ai condizionamenti del corpo, il vero filosofo dunque desidera la morte e la filosofia è un esercizio di morte.
La morte è l’inizio della vera vita per l’anima, perché solo quando l’anima è separata dal corpo può conoscere direttamente e perfettamente le Idee, e può dunque realizzarsi pienamente.
Nel “Fedone” vengono anche proposti tre prove razionali dell’Immortalità’ dell’anima:
1) l’anima conosce le idee che sono eterne, dunque ha natura affine ad esse;
2) l’anima è il principio di vita, dunque non può accogliere in sé il suo contrario, la morte (solo il corpo, che riceve la vita dall’anima, può perderla). Platone fa l’esempio del fuoco che, essendo il principio del calore, non può mai diventar freddo;
3) l’anima possiede conoscenze fin dalla nascita, quindi ricorda conoscenze acquisite prima della nascita “anamnesi o reminiscenza”.
Nel Dialogo “Menone” viene fornita una “prova sperimentale” dell’anamnesi: uno schiavo, privo di cognizioni geometriche, opportunamente interrogato, risolve un problema che implica la conoscenza del teorema di Pitagora, e quindi ciò significa che l’anima dello schiavo possedeva già alcune nozioni geometriche fondamentali, e deve averle acquisite prima di incarnarsi nel corpo dello schiavo; ciò conferma le credenze orfiche sulla preesistenza dell’anima e sulla metempsicosi.
Platone e il mito:
I primi filosofi hanno rifiutato la mitologia, Platone invece inserisce nei suoi dialoghi miti: racconti di fantasia generalmente creati da lui stesso.
Duplice funzione dei miti:
1) chiarire con immagini una dottrina razionale difficilmente comprensibile.
2) quando si presenta un problema che la ragione non è in grado di risolvere, andare oltre i limiti della conoscenza razionale con l’immaginazione;
Il mito platonico non è una dimostrazione razionale, ma non è neppure pura fantasia, ha un contenuto verosimile, ragionevolmente plausibile – procede oltre la ragione nella direzione tracciata dalla ragione. Esempio: la ragione afferma l’immortalità dell’anima, ma non può conoscere il destino delle anime dopo la morte; il mito tenta di rappresentare questo destino in modo verosimile e compatibile con le conoscenze razionali già acquisite.
Platone I MITI SUL DESTINO DELL’ANIMA
Dunque l’anima è immortale (intreccio di argomentazioni razionali e dottrine religiose orfiche).
Qual è il destino dell’anima separata dal corpo?
Platone non può conoscere razionalmente la vita dell’anima postmortem e quindi la immagina per mezzo dei miti.
Nel “Fedone”: Le anime in vita soggiogate dal corpo e dai piaceri si reincarnano in uomini e in animali, le anime vissute secondo la virtù comune si reincarnano in uomini probi e animali mansueti, le anime dedite al sapere e alla virtù filosofica vengono liberate dalla reincarnazione per sempre, si uniscono alla divinità e contemplano le Idee, le anime macchiate da colpe inespiabili vengono condannate.
In “Repubblica”: Platone modifica la teoria precedente affermando che il premio o il castigo meritato da ciascuna anima ha una durata limitata (mille anni): dopo tale periodo tutte le anime si reincarnano.
In Repubblica viene narrato anche il Mito di ER: terminato il periodo del premio o del castigo le anime, prima di reincarnarsi vengono condotte davanti alla Moira Lachesi che mostra loro diversi modelli di vita; poi ogni anima a turno sceglie liberamente il tipo di vita che condurrà sulla terra. Le prime anime che scelgono hanno maggiori possibilità di scelta, ma anche alle ultime restano molti modelli di vita tra cui scegliere. Le anime scelgono sulla base delle conoscenze acquisite nelle vite precedenti.
IL SIGNIFICATO DEL MITO DI ER: contro un’idea molto diffusa nella mentalità greca, in particolare nella tragedia, secondo cui le sorti degli uomini sono regolate da un destino che sfugge al loro controllo (il Fato), Platone sostiene che l’uomo è responsabile dell’esistenza che vive e delle condizioni in cui si trova, e che la conoscenza è il fondamento di una “vita buona”.
In “Fedro”: Mito del Carro alato: L’anima è simile a un carro alato costituito da un auriga, un cavallo docile e un cavallo ribelle (= anima razionale + anima animosa + anima concupiscibile).
Quando l’anima è separata dal corpo corre nel cielo al seguito degli Dei e giunge fino alla sommità del cielo dove contempla le Idee nella Pianura della Verità (cioè l’Iperuranio). Ma la salita verso la pianura della verità è contrastata dal cavallo ribelle, che trascina l’anima verso il basso. Perciò molte anime arrivano faticosamente alla Pianura della verità e vedono le Idee fugacemente, altre anime non raggiungono la Pianura della Verità, si accalcano, le loro ali si spezzano e precipitano verso terra, incarnandosi in un corpo. La loro vita sarà più o meno buona a seconda di quanto hanno potuto vedere nella Pianura della Verità.
N.B. questo mito supera la contrapposizione anima-corpo (l’anima è razionale – il corpo sede degli istinti e delle passioni): infatti è nella stessa anima sono che compresenti tendenze e forze diverse:
1) la razionalità > uomini saggi e giusti;
2) l’animosità (o irascibilità) > uomini forti e coraggiosi;
3) la concupiscenza di cose materiali > uomini sottomessi agli istinti corporei.
A questo mito si ricollegano la dottrina dell’Eros e la dottrina dello Stato ideale (vedi oltre).
Platone e Il mito della caverna: Sintesi del suo pensiero filosofico:
“Al centro della “Repubblica” si colloca un celeberrimo mito detto "della caverna". Il mito è stato via via visto come simboleggiante la metafisica, la gnoseologia e la dialettica, e anche l'etica e la mistica platonica: è il mito che esprime tutto Platone, e, con esso, quindi, concludiamo.
Immaginiamo degli uomini che vivano in una caverna che abbia l'ingresso aperto verso la luce per tutta la sua larghezza, con un lungo andito d'accesso; gli abitanti di questa caverna sono legati alle gambe e al collo in modo che non possano girarsi e che quindi possano guardare unicamente verso il fondo della caverna medesima. Alle spalle dei prigionieri (tra loro e l’ingresso della caverna) c’è un muricciolo ad altezza d'uomo e dietro questo (e quindi interamente coperti dal muricciolo) si muovono degli uomini che portano sulle spalle statue lavorate in pietra e in legno, raffiguranti tutti i generi di cose. Immaginiamo, ancora, che dietro questi uomini arda un grande fuoco. Infine, immaginiamo che la caverna abbia una eco e che gli uomini che passano al di là del muro parlino, in modo che dal fondo della caverna le loro voci rimbalzino per effetto dell'eco.
Ebbene, se così fosse, quei prigionieri non potrebbero vedere altro che le ombre delle statuette che si proiettano sul fondo della caverna e udrebbero l'eco delle voci: ma essi crederebbero, non avendo mai visto altro, che quelle ombre fossero l'unica e vera realtà e riterrebbero anche che le voci dell'eco fossero le voci prodotte da quelle ombre.
Ora, supponiamo che uno di questi prigionieri riesca a sciogliersi con fatica dai ceppi; ebbene, costui con fatica riuscirebbe ad abituarsi alla nuova visione che gli apparirebbe; e, abituandosi, vedrebbe le statuette muoversi al di sopra del muro, e capirebbe che quelle sono ben più vere di quelle cose che prima vedeva e che ora gli appaiono come ombre.
E supponiamo che qualcuno tragga il nostro prigioniero fuori della caverna; ebbene, egli resterebbe abbagliato prima dalla gran luce, e poi, abituandosi, vedrebbe le cose stesse, prima riflesse nelle acque e poi in sé stesse, e, da ultimo, prima riflessa e poi in sé, vedrebbe la luce stessa del sole, e capirebbe che queste e solo queste sono le realtà vere e che il sole è causa di tutte le altre cose visibili.
I QUATTRO SIGNIFICATI DEL MITO DELLA CAVERNA
Che cosa simboleggia il mito?
1. Innanzi tutto i vari gradi ontologici della realtà, cioè i generi dell'essere sensibile e soprasensibile con le loro suddivisioni: la caverna rappresenta il mondo sensibile e i prigionieri sono gli uomini, abitanti del mondo, il fuoco rappresenta il sole, le statue sono le cose sensibili e le ombre sul fondo della caverna sono le immagini delle cose; il mondo esterno alla caverna rappresenta l’Iperuranio, il mondo delle Idee, gli oggetti nel mondo esterno rappresentano le Idee superiori, le loro immagini riflesse nell’acqua rappresentano le Idee matematiche, il sole rappresenta l’Idea suprema del Bene, che dà vita e luce a tutto il mondo ideale;
2. In secondo luogo, il mito simboleggia i gradi della conoscenza nelle due specie e nei due gradi di queste: la visione delle ombre simboleggia l’Eikasìa o immaginazione, e la visione delle statue simboleggia la Pìstis o credenza; la visione degli oggetti riflessi nell’acqua rappresenta la Diànoia (conoscenza mediana delle idee matematiche) e la visione degli oggetti e del sole, prima mediata e poi immediata, rappresenta la pura intellezione (Nòesis) delle Idee e dell’idea del Bene. L’abbagliamento che colpisce il prigioniero quando esce dalla caverna significa che l’uomo per conoscere le idee deve affrontare un percorso di apprendimento che richiede tempo e fatica.
3. In terzo luogo, il mito della caverna simboleggia anche l'aspetto ascetico – religioso del platonismo: la vita nella caverna è la vita dell’anima prigioniera del corpo (le catene che legano i prigionieri sono i vizi e la concupiscenza), così come la vita alla luce del sole significa la vita dell’anima liberata dal corpo ed elevata fino all’Iperuranio; il volgersi dal sensi bile all'intellegibile è espressamente rappresentato come "liberazione dai ceppi", come con-versione;
4. Ma il mito della caverna esprime anche la concezione etico-politica squisitamente platonica: Platone parla, infatti, anche di un "ritorno" nella caverna di colui che si era liberato dalle catene, di un ritorno che ha come scopo la liberazione dalle catene di coloro in compagnia dei quali egli prima era stato schiavo. E questo "ritorno" è indubbiamente il ritorno del filosofo-politico, il quale, se seguisse il suo solo desiderio, resterebbe a contemplare il vero, e invece, superando il suo desiderio, scende per cercare di salvare anche gli altri (il vero politico, secondo Platone, non ama il comando e il potere, ma usa comando e potere come servizio, per attuare il bene). Ma a chi ridiscende che cosa potrà mai capitare? Egli, passando dalla luce all'ombra, non vedrà più, se non dopo essersi riabituato al buio; faticherà a riadattarsi ai vecchi usi dei compagni di prigionia, rischierà di non essere da loro capito, e, preso per folle, potrà perfino rischiare di essere ucciso: come è successo a Socrate, e come potrebbe succedere a chiunque testimoni in dimensione socratica. Ma l'uomo che ha "visto" il vero Bene dovrà e saprà correre questo "rischio", che è poi quello che dà senso alla sua esistenza.